Rottamati: Gianni Battaglia, Pippo Digiacomo, Salvo Zago. E’ vero, il voto per Cuperlo si identificava assolutamente con il vecchio apparato di partito, e la vittoria di Renzi incornicia la foto sbiadita dei tre. L’accordo rimediato solo un mese addietro per eleggere Denaro alla segreteria provinciale, la ferocia tribale che avvolge Peppe Calabrese – figura intermedia schiacciata tra la passata generazione di dirigenti legata ancora ad un codice di partito, e quella nuovissima e fluttuante incarnata dai Nicosia, e da Spataro e Bellassai a Comiso – insomma tutte le manovre partorite nel Pd tra l’Irminio alla valle dell’Ippari, costringendolo ad una chiusura dolorosa e quindi, alla fine, stancante e incomprensibile all’esterno, hanno perso di significato e di prospettiva. La vittoria di Renzi è stata il colpo finale, l’apertura violenta di un sepolcro contenente mummie in disfacimento che si polverizzano con una botta d’aria, e nessuna analisi del voto o conta per attribuirsi il merito del risultato può riempire di vita la certificata morte. E’ un po’ quello che è accaduto quando a Ragusa vinse il sindaco Piccitto con quello straordinario 70 per cento; anche lì l’impatto, la girata di pagina, fu talmente impetuosa e fresca da non reggere i distinguo, il racconto degli errori, la costruzione sofistica delle preoccupazioni future; ci fu una spazzata e via. Battaglia, Digiacomo, Zago, forti della loro placida resistenza, del loro solido ancoraggio alla buona società progressista, della sempre premiata obbedienza agli interessi delle oligarchie di partito, avevano intuito l’emergenza di stringere un accordo con il Pd veloce e ambizioso rappresentato dai Nicosia, ma ora sono rimasti autenticamente soli perché solitaria ed elitaria era, ed è, la loro presenza politica. L’asse Comiso – Vittoria, che sottendeva chiaramente uno scambio veloce fra Nicosia e Digiacomo per la spartizione di seggi parlamentari, salterà e non sarà rispettato; il sindaco di Vittoria – che si è forgiato con scaltrezza la figura del segretario garantendosi persino la forma partito come cosa sua – se ne infischierà del destino dei perdenti, mentre a Gianni Battaglia rimarrà la convocazione più o meno annuale in assemblea nazionale: uno dei 180 cuperliani accerchiati dalle milizie di Renzi. Per Zago, infine, la balbuzie e la codardia della sua segreteria gli consentiranno una elaborazione del lutto intrisa di non passione, stesso sentimento dominante che lo ha visto dirigente. E Mario D’Asta il renziano della prima ora? Fa pena: si è capito che gli iscritti renziani non lo avevano votato (689 il voto per il sindaco di Firenze, 300 i voti per lui il mese scorso) ed ora ha Calabrese – che gente a votare ne ha portata assai – che gli fiata sul collo. Riguardo la guerra tra Calabrese e Battaglia ormai oggetto di studio antropologico – manca solo il ritrovamento dell’anello al naso e si potrà catalogare come scientifica l’appartenenza ad un originario clan della foresta – la sconfitta clamorosa dell’area Cuperlo farà perdere un po’ di ardore agli affiliati del secondo circolo che vedranno in Battaglia un eroe fiacco se paragonato, ad esempio, a Mirello Crisafulli, il leone di Enna, che è riuscito sì a far votare Cuperlo. Soffermandoci un attimo sulla cronaca della giornata delle primarie, c’è, di simpatico, la vicenda del non voto di Giovanni Iacono. Va benissimo lo statuto, va benissimo che il presidente del consiglio leggendo di primarie aperte si era entusiasmato, ma una cosa non torna ed è il rapporto tra Iacono e il Movimento 5 Stelle. I 18 grillini che lo hanno votato si saranno sbandati, alla notizia. Loro ci tengono assai alla non contaminazione: urge assemblea meetup. Troppo buono il sindaco Federico Piccitto: rispetta le molteplici sensibilità del presidente del consiglio che spazia da italia dei valori a partecipiamo, dall’accordo con i grillini all’adesione ai democratici: vista così, il voto al Pd ci sta tutto. Iacono voleva votare Civati per empatia: mezzo movimentista e mezzo comunista. Ecco perchè Iacono ci teneva: l’esser comunista, gli mancava!
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