Tre presunti scafisti ritenuti alla guida di uno dei natanti con 199 migranti, soccorsi da una nave mercantile nel mare Mediterraneo e sbarcati il 10 aprile scorso a Pozzallo, sono stati fermati da squadra mobile, carabinieri e guardia di finanza. Tra le persone arrivate c’era anche un giovane di 24 anni proveniente del Mali che, stremato dal viaggio, è morto il giorno dopo nell’ospedale di Ragusa. In manette sono finiti due giovani del Senegal ed uno del Gambia. Tutti e tre giovanissimi: uno di diciotto e gli altri due di diciannove anni. Le indagini della Polizia Giudiziaria erano iniziate immediatamente ma inizialmente i migranti erano del tutto reticenti. A seguito della notizia della morte di un loro connazionale, alcuni compagni di viaggio del giovane deceduto che stavano aiutando gli investigatori ad identificare il loro amico, si sono determinati, un po’ per rabbia un po’ per senso del dovere, a raccontare tutte le modalità del viaggio sin da quando erano Libia. Dai racconti è emerso che i migranti erano stati tenuti segregati per oltre 15 giorni in un capannone in Libia dal quale non potevano uscire e venivano rifocillati con pochi generi alimentari in attesa che fosse disponibile l’imbarcazione per raggiungere l’Italia e che le condizioni del mare fossero favorevoli. Dai racconti è emerso chiaramente che gli organizzatori libici, tutti armati, li tenevano sotto controllo e che gli scafisti si esercitavano a condurre le imbarcazioni per poi affrontare il viaggio con precisi ordini di richiedere soccorso alle autorità italiane direttamente per mezzo di un telefono satellitare nel punto convenuto a largo delle coste libiche.