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08/05/2014 -

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GIOVANE ERITREO MORTO, L’AGGHIACCIANTE RACCONTO DEI MIGRANTI

Di seguito due testimonianze, fornite dalla Polizia che ha sentito i migranti in merito alla morte di un giovane eritreo.

Sbarco eritrei

“Vivevo in Sudan ed ho saputo sin da subito la somma di denaro che avrei dovuto consegnare all’organizzazione sudanese, che era di 700 dollari Usa per iniziare il mio viaggio per l’Italia. Erano gli stessi sudanesi che provvedevano alle nostre esigenze alimentari, dopo aver da noi ricevuto i soldi per la relativa spesa. Gli stessi erano armati di coltelli ma mai hanno avuto modo di usarli contro di noi e mai ci hanno minacciato. Poco più di due settimane dopo il mio trasferimento in una piccola casa, abbiamo attraversato senza problemi il confine tra Sudan e Libia, fermandoci a pochi chilometri da tale confine. In territorio libico gli elementi dell’organizzazione sudanese ci consegnavano a quelli dell’organizzazione libica e questi, a bordo di autovetture fuoristrada, ci conducevano in un villaggio facendoci entrare all’interno di un capannone dove vi erano altri soggetti che come me e i miei compagni erano stati reclutati per partire verso l’Italia. Sono rimasto in quel capannone per due settimane, e con il passare dei giorni il numero di noi clandestini all’interno di esso diventava sempre maggiore, fino a raggiungere circa 500 unità. Con noi vi erano anche donne e bambini e solo i libici potevano parlare con le donne, a loro era concesso tutto. Relativamente alla nostra alimentazione provvedevano i libici con due pasti al giorno costituiti da pasta o riso. I libici erano sempre armati di pistole o di fucili e la loro vigilanza su di noi era costante. A nessuno veniva permesso di lasciare il capannone e guai a coloro che avanzavano proteste di qualsivoglia natura, situazione queste che davano sfogo a reazioni ingiustificate dei libici che picchiavano con bastoni ogni malcapitato.Cinque giorni prima della mia partenza ho corrisposto ai libici l’importo di 1.000 dollari Usa quale corrispettivo per il viaggio in Italia. La partenza dal capannone avveniva di notte allorquando una buona parte di noi veniva fatta salire sui fuoristrada ed accompagnati, dopo circa 20 minuti di marcia, in un punto che non so indicare. Tutti quanti, scortati dai libici armati, ci incamminavamo e dopo circa 3 ore raggiungevamo un arenile. Durante il tragitto le botte erano continue come per incuterci il terrore così da evitare fughe o ripensamenti. Eravamo tutti spaventati e non sapevamo che fare. Sul gommone prendevamo posto tutti quanti noi e venivamo bastonati nel momento in cui mettevamo piede sul natante. Le bastonate dei libici ci raggiungevano in qualsiasi parte del corpo ed anche in parti vitali, quali la testa, la nuca e il collo. Tutti quanti eravamo stremati a causa della lunga strada percorsa a piedi e molti di noi, sebbene in situazioni precarie, hanno cercato di acquisire una postura tale da consentirgli di prendere sonno. Io mi trovavo ad occupare un posto posizionato al centro del gommone, quando uno di noi ci faceva notare che un soggetto, probabilmente di nazionalità eritrea, era deceduto. A quel punto si discuteva di cosa fare del corpo del soggetto deceduto ed era questione di divergenza di opinioni quella di liberarsene buttandolo in mare o quella di tenerlo con noi in attesa dei soccorsi italiani. Tra le due prevaleva la seconda e alcuni dei soggetti, forse del Mali, trovavano più agevole, dato l’estremo affollamento, sedersi direttamente sopra il cadavere. Durante la navigazione più volte gli scafisti ci dicevano di gettare in mare in cadavere ma noi ci opponevamo con fermezza perché volevamo continuare il viaggio con il nostro amico”.

“Durante le operazioni d’imbarco i libici ci picchiavano violentemente spingendoci verso l’acqua per farci salire sul gommone. Quasi tutti avevano dei grossi bastoni che usavano per colpirci anche nel momento in cui mettevamo piede sul gommone. Siamo stati ammassati sul natante che hanno poi spinto verso il largo e siamo partiti. Alle prime luci dell’alba mi sono accorto che uno dei miei compagni di viaggio, che era vicino a me, credo fosse eritreo, era privo di vita. Non mi sono accorto prima del suo decesso in quanto lo stesso assumeva sul gommone la posizione supina, tanto da farmi capire che si era addormentato appena dopo essere salito sul gommone. Nessuno di noi ha avuto il coraggio di toccarlo e l’abbiamo lasciato dov’era, anzi alcuni sono stati costretti a sedersi sopra le sue gambe perché non c’era spazio sul gommone. Abbiamo continuato la navigazione fino al primo pomeriggio, quando siamo stati soccorsi e trasbordati su una nave della Marina Italiana. In Libia sono stato condotto presso un capannone, dove trovavo altra tanta gente ad aspettare, durante la permanenza in quel capannone i libici erano soliti picchiarci anche per futili motivi con grossi bastoni, il mangiare era scarso come del resto anche l’acqua. Venivo prelevato con una macchina unitamente ad altri miei connazionali, però poi siccome c’era tanto traffico sulla strada, per paura che la Polizia Libica ci fermasse per dei controlli, i libici ci hanno fatto scendere ed fatto incamminare per svariati chilometri per poter raggiungere la spiaggia. Arrivati su quella spiaggia ad attenderci vi erano già pronti due gommoni, ed altri personaggi libici, gli stessi ci hanno cominciato a metterci in fila per uno per farci imbarcare su uno di questi gommoni già pronti, ad un tratto senza spiegazioni i libici cominciavano a picchiarci con dei bastoni per affrettare le operazioni di imbarco. Durante dette operazioni vedevo che un ragazzo veniva colpito violentemente al collo, cadendo all’interno del gommone stesso, ma non mi rendevo conto delle sue condizioni. Su detto gommone venivo sistemato a poppa, in prossimità del motore e dove vi si trovavano circa 5 o 6 bidoni di benzina che servivano per il viaggio, durante il viaggio lo scafista mi diceva di prendere un bidone di benzina per proseguire il viaggio, durante detta operazione lo stesso bidone si apriva e mi cascava la benzina addosso, per questo ho la parte dell’addome bruciato, è possibile che parte della benzina sia cascata addosso al ragazzo che giaceva immobile vicino a me. Abbiamo navigato per circa 14-15 ore senza avere ne cibo ne acqua, poi ho notato un elicottero che ci aveva avvistato e ci sorvolava sopra, prima di questo avvistamento notavo che chi conduceva il gommone usava degli strumenti tipo la bussola per mantenere la rotta, ed un telefonino che usava per chiamare aiuto, in lingua inglese alle autorità italiane”.

 

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