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16/11/2015 -

Cronaca/

OPERAZIONE “BABA-LOA”, PROFUGHE NIGERIANE COSTRETTE A PROSTITUIRSI

cartellone operazione baba loa ok copiaSbarcate a Pozzallo a febbraio 2015, sono state sottratte alla rete criminale dalla Squadra Mobile di Ragusa che le ha  rifugiate in una casa di accoglienza. L’operazione effettuata in collaborazione con la polizia di Novara ha permesso la cattura di 4 nigeriani  (un uomo e tre donne) che avevano messo su un’associazione dedita alla tratta di giovani donne nigeriane per avviarle alla prostituzione. Approfittando dello stato di estrema indigenza in cui versavano le vittime, promettevano un lavoro lecito una volta arrivate in Italia e poi con le minacce di riti voodoo  – credenze africane di magia nera su malattie e disgrazie-  le costringevano a prostituirsi. Ad aiutare a smascherare questo traffico di schiave è stata una giovane interprete nigeriana, anch’essa sbarcata a Pozzallo qualche anno fa, ora inserita in modo stabile nei team investigativi della Polizia di Stato di Ragusa. Grazie all’opera di mediazione della donna si è riusciti ad indurre una giovanissima migrante a raccontare agli investigatori la sua tremenda esperienza. La donna riferiva di essere stata contatta in Nigeria da alcuni connazionali che le offrivano un futuro migliore, fatto di studi e lavori come baby sitter o badante. Considerata la sua gravissima situazione finanziaria, così come quella della sua famiglia, la giovane accettava di raggiungere l’Italia; per di più le avevano detto che non avrebbe dovuto pagare nulla, salvo poi rimborsare la somma versata per lei di 400 euro. Al fine di “proteggerla” dagli spiriti del male, gli organizzatori la sottoponevano al rito voodoo, tagliandole una ciocca di capelli, i peli del pube e le unghie, scattandole anche una foto. Per far questo la portavano da un “baba-loa” da qui il nome dell’indagine. Il “baba-loa” è una figura religiosa tradizionale molto diffusa e rispettata, soprattutto nelle zone non musulmane della Nigeria meridionale. Solo nello stato di Edo ci sono infatti ben 5000 baba-loa regolarmente iscritti a un albo professionale di categoria, i cui compiti sono legati soprattutto al bisogno di coesione comunitaria, mediazione nei conflitti sociali e familiari, nonché virtù di carattere terapeutico. Il baba-loa «benedice» la partenza delle donne, sottoponendole a un rito ben codificato: prende alcuni elementi intimi della candidate alla partenza e li mescola in un sacchetto pieno di polveri magiche. Come una corda stretta intorno al collo, il rito vudù contribuirà a rendere docili le ragazze: terrorizzate dal fatto che alcune parti del loro corpo sono nelle mani dello stregone, si sentiranno legate a doppio filo all’impegno preso. Forti di questo duplice vincolo, le organizzazioni criminose sanno di avere il coltello dalla parte del manico. Una volta selezionate, e spesso illuse le donne con la promessa di un  falso lavoro,i criminali organizzano il loro passaggio in Europa. Le giovani donne dovevano imparare a memoria un numero di telefono da contattare una volta arrivate in Italia per farsi venire a prendere dopo lo sbarco. Gli uomini della Polizia di Stato hanno intercettato l’utenza telefonica fornita dalla vittima sbarcata a Pozzallo. Le indagini sono durate mesi ed hanno permesso di individuare ben tre network delinquenziali operanti in Italia nelle tre città ove si è proceduto alle catture: Novara, Ferrara e Napoli. Chi “vende” le ragazze opera in Nigeria e Libia; in posizione diversa chi ha base in Italia o in nord Europa che prima “ordina” le vittime, spesso minori, per poi obbligarle alla prostituzione, pena disavventure prodotte dai riti voodoo. Le migliaia di intercettazioni hanno, quindi, permesso di individuare questi soggetti presenti in Italia, raccogliendo per tutti i sodali gravissimi indizi di reità a loro carico. Tutte le persone indagate sono risultate in possesso di regolare permesso di soggiorno italiano, potendo così liberamente ritornare in patria o spostarsi verso altri paesi, facendo poi perdere le loro tracce. Al termine delle catture tutte le persone indagate sono state identificate dalla Polizia Scientifica e poi condotte nelle carceri più vicine al luogo di esecuzione del provvedimento di fermo.

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