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01/12/2015 -

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Stefania Campo e la cultura che chiude un occhio

downloadTutto è compiuto: dimissioni, ammissioni, petizioni; ora c’è la lettera al sindaco firmata dagli operatori culturali. Chiedono a Piccitto di stracciare le dimissioni e di riprendersela in giunta. Mai nella storia di Ragusa una defenestrazione ha creato tanta agitazione. Fior di assessori nel passato sono stati costretti a ritirarsi – anche in questa sindacatura – e l’amarezza e l’orgoglio ferito furono sentimenti contenuti; qui, invece, è accaduto il finimondo sol perché il settore gestito dalla Campo, cultura e spettacolo, è una cassaforte di denaro pubblico facilmente apribile se si ha la fortuna di essere nelle grazie del politico che ne ha le chiavi. Molti firmatari di questa lettera sono stati beneficiati dall’ex assessora con contributi per le loro manifestazioni culturali ed eventi, e, in un contesto normale, questi protagonisti della vita culturale della città, avrebbero affrontato il disappunto per la cacciata della Campo tentando di ricollocare la vicenda nell’ambito della analisi sulle inequivocabili verità evitando di lanciarsi in una grossolana e per niente pura tifoseria. La giovane assessora Stefania Campo è stata “beccata” da Tele Nova nella sua leggerezza e spudoratezza nell’assistere ai passaggi per l’assunzione e conseguente retribuzione del consorte nella funzione di letturista dei contatori idrici – un impiego svolto da una cooperativa sociale vincitrice di un appalto comunale. Non si tratta di una storia fantastica, ma di fatti. E’ vero che la madre della Campo, funzionaria comunale, si occupa dell’appalto nel novembre 2012 e nel novembre 2012 il genero viene assunto; è vero che quando nel 2014 si redige il nuovo appalto la madre della Campo – già assessore in carica – inserisce una clausola per la salvaguardia dei lavoratori blindando la riassunzione del genero; è vero che la Campo partecipa ad un incontro in un bar tra l’impresa che si è aggiudicata la gara e il marito dove si discuteva del trattamento economico per i letturisti; è vero che la madre della Campo promuove un altro incontro al Comune di Ragusa tra lavoratori e ditta per definire i dettagli della assunzione. Questi i fatti per cui la assessora con una buona e decisiva spinta del sindaco si è dimessa. La vicenda è talmente chiara e verificata che se si condivide la linea di condotta etica del movimento 5 stelle – e chi più di un militante e amministratore cinquestelle deve condividerla? – risulta altrettanto ovvio ritenere il comportamento della Campo non solo uno “scivolone”, come dalla stessa signora ammesso, quanto una vera incompatibilità e incoerenza rispetto al bagaglio valoriale del movimento. Trasferiamo però questo importante tema della questione morale, che è la caratteristica dominante dei cinquestelle, nella nostra piccola città. Una cosa è lottare in Parlamento, un’altra è governare a Ragusa. Non c’è Di Maio, né Morra, né Di Battista, e molte volte il sindaco se la deve cavare da solo avendo un truppone poco colto e persino rozzo, insomma una divisione di legionari agguerriti che hanno travasato il furore giacobino in un garantismo che non sta né in cielo né in terra essendo, l’oggetto dello scandalo, – ossia la storia dell’assunzione – un episodio classico di sfruttamento delle occasioni e dei privilegi che lo stare in politica offre, una caduta che ha sconquassato gli animi, destabilizzandoli, di coloro che sentono la missione della diversità e che hanno sofferto della vicenda con un tormento sfociato in un rifiuto della realtà. Cosa è accaduto allora? – e qui arriviamo agli operatori culturali. La Campo che aveva sempre mantenuto buone relazioni con i dissidenti cinquestelle (una cerchia che si sente tradita dal sindaco e che ritiene questi un piccolo dittatore che nulla ha a che spartire con le forme ed i modi del movimento, e che spera inciampi, e che manovra per metterlo in cattiva luce, insomma tutto un ribollio tipico delle cellule settarie) ha acceso la miccia mettendo insieme i dissidenti scatenati e gli operatori culturali che per interesse o ossequio o semplice cortesia o simpatia non si sono sottratti all’obbligo di firmare questa lettera al primo cittadino in cui si chiede il ripescaggio. E qui esplodono una serie di contraddizioni e si appalesano comportamenti vergognosi. Cosa si sostiene nella lettera? Che la colpa è della stampa che diffama, che perseguita, che infanga, e giù con tutto il lessico familiare della destra, del berlusconismo, del qualunquismo: lo stesso lavaggio cerebrale che tentò di annebbiare e confondere le menti degli italiani, abbassando i livelli del libero pensiero, mettendo in un cantuccio il senso morale delle istituzioni e riducendo i vizi dei politici a comportamenti normali, naturali, privati. Si sceglie quindi di dare addosso alla stampa evitando con scrupolo di entrare nello specifico dei fatti accaduti, distraendo dalla questione morale e fornendo ai cinquestelle un appiglio- la stampa cattiva – per alleggerire lo stato d’animo di quei consiglieri che rivorrebbero la Campo in sella e che per fragilità, rigidità e poca maturità personale e politica non ammettono che anche al loro interno possa capitare- com’è capitata – una brutta storia. E’ chiaro che i promotori di tale iniziativa o non riescono a vedere come stanno le cose o non vogliono vedere, sacrificando obiettività, intelligenza, etica in nome di un posizionamento che può risultare vantaggioso. L’operazione salviamo la Campo ha trasformato alcuni operatori culturali in una lobby, in un gruppo di pressione, utile qualora la loro beniamina tornasse ad amministrare la cosa pubblica; condizione che li porrebbe come fidato riferimento e bussola per la amministratrice. Questa operazione – per non parlare del metodo adottato per ottenere le firme della missiva – è il punto più triste della vicenda: constatare che in questo ambiente culturale soprattutto giovanile dove dovrebbe scorrere solo freschezza, passione, riflessione aperta, si usino pratiche legate alla peggiore politica. Si son messi sotto i piedi tutti i sacri principi pur di posare il cappello su una poltrona che forse potrebbe tornare ad essere occupata dalla assessora cacciata via. Un’autentica azione preventiva nel caso in cui il sindaco cedesse. Hanno fatto tutto in fretta i promotori della missiva perchè non c’era tempo; si attende infatti l’ennesima riunione dei consiglieri cinquestelle, gli spiriti sono agitati e Federico Piccitto deve essere messo alle strette – come confessano i grillini dissidenti. Infatti i metodi per raccogliere adesioni rivelano l’urgenza assai poco pulita dell’intervento a gamba tesa. Molti hanno aderito senza conoscere il contenuto del testo – i promotori si son ben guardati dal leggere alle persone coinvolte l’attacco che avevano elaborato. C’è stato persino un professore, che è da ritenersi l’intellettuale più rispettato in città per il suo prestigio e per il suo impegno civico, che si è ritrovato la firma in calce al testo e non sapeva niente della iniziativa. Per non parlare poi dei soliti pasticci e dei soliti conflitti. Uno dei promotori dell’appello è Giacomo Schembari, impiegato comunale, primo collaboratore della Campo, che si è dato un gran da fare e che poi non ha firmato la lettera. Perchè non l’ha fatto? Forse gli pareva brutto, indelicato, inopportuno, inelegante, attaccabile e così via esporsi in pubblico per riavere la sua assessora preferita? E finalmente siamo arrivati al cuore del problema: i confini delle cose che si possono o non si possono fare se si frequenta e si maneggia la pubblica amministrazione. Non si partecipa in alcun modo, palese od occulto con presenza, opere, azioni, parole, come successo alla Campo, a vicende che coinvolgono gli interessi di famiglia, parenti ed affini. Non si fa. La Campo si è dimostrata assai debole nel muoversi dentro i confini di una condotta all’altezza delle nostre aspettative democratiche riguardo le storie di famiglia e anche gli atti amministrativi. Lo dimostra la determina dirigenziale n. 2420 dove nella prima pagina della proposta di una associazione che chiede un contributo per il prossimo Natale, l’ex assessora scrive: “si autorizza l’installazione con l’uso massimo di 12 mila euro. 12 novembre 2015. Stefania Campo”. Poi, l’indomani, si dimette. Si tratta di una proposta che doveva essere sottoposta al dirigente del settore, ma l’assessora scavalca la figura preposta per legge a decidere le attività, gli spettacoli, le manifestazioni, e stabilisce lei e autorizza lei, e indica lei la quantità di denaro da impegnare. Non si fa. Ci sono limiti e confini invalicabili e la ex assessora ha dimostrato sino all’ultimo – dopo 15 giorni dalle dimissioni non aveva restituito il telefono cellulare del Comune, è banale, ma sintomatico- di avere una concezione assai larga riguardo gli usi e i costumi consentiti. Gli operatori culturali (non tutti, poiché molti sono stati trascinati con l’inganno a firmare la lettera) con la Campo hanno chiuso un occhio, aprendo di contro i confini del consentito per tuffarsi nel folclore siculo che perdona e giustifica vecchie e consolidate abitudini; robaccia anticulturale che serve solo a mantenere silenti le masse e a lasciarle nell’ignoranza.

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