L’ultima notte del maledetto 2016, roba da ricordare per noi ragusani. E’ arrivata la Polizia, quella che acciuffa i cattivi e mette ordine, ed ha raccolto la denuncia, disperata e sincera, delle opposizioni, tutte, senza distinguo, senza rivalità, senza le giuste differenze di idealità e provenienza, tutte unite in una sofferenza che doveva essere raccolta da un organismo terzo, imparziale e severo, per avere memoria e traccia del dramma che si stava consumando nella nostra casa Comune. Mai in questa città il filo del dialogo tra le parti politiche per quanto possa essere stato, nel corso della storia, sottile e fragile, era stato spezzato sotto i colpi della violenza del potere, e ora quei giovani che volevamo portatori di entusiasmo costituzionale, di freschezza comportamentale, e a cui Ragusa aveva donato il cuore, la fiducia, la passione, la speranza – i grillini – hanno massacrato valori e tradizioni forzando la legge, offendendo l’intelligenza e la dignità del consiglio. Le variazioni di bilancio – che da un mese sono l’oggetto misterioso del governo Piccitto intestarditosi nel negare il diritto di conoscenza degli atti calpestando l’unico momento di reale controllo della spesa pubblica che il consiglio comunale esercita – hanno rivelato la pochezza di struttura dei cinquestelle e la loro coltivata ignoranza che li porta inevitabilmente all’ossequio della giunta, del capo – il primo cittadino – come unica forma rappresentativa di esistenza avendo paura di ascoltare il dubbio che attraversa i loro animi. Lo sapevano, i consiglieri cinquestelle, che l’atto portato in consiglio non camminava ed infatti il 16 dicembre era stato bocciato grazie a qualche fortuita assenza e alla ribellione di una grillina dissidente, e sapevano che riproporlo era insensato ed illegittimo. Lo sapevano perché lo ammettevano nei colloqui privati con i giornalisti – in testa il presidente Antonio Tringali – lo sapevano perchè in queste settimane sono stati interrogati i migliori amministrativisti d’Italia, e ciononostante non hanno avuto la forza morale e politica di dire a Piccitto di fermarsi scegliendo invece corazza ed elmo, quello romano, muscolare, senza domande, senza parola. E’ stata una giornata terribile lì, dentro quell’aula. Ore ed ore di uno scontro struggente: da una parte l’opposizione che chiedeva e richiedeva di dare risposte articolate e piene a quel fiume inarrestabile di ragioni giuridiche in cui l’errore era palese, implorando di poter vedere i conti e gli impegni assunti in bilancio, e, dall’altra, il Palazzo, il sistema, quello dei dirigenti non più servi dello Stato ma braccio operativo dei capricci del comandante in capo, quello che li sceglie e a cui bisogna avere occhio di riguardo e rispetto vero, siculo, che non conosce tentennamenti. Non li hanno prodotti, ed era semplice e possibile, gli elaborati con i numeri; non volevano che qualcuno mettesse il naso in quel che pensiamo sia la naturale miseria della provincia siciliana: qualche manifestazione, qualche festino, la solita carezzina con contributo all’associazione amica, qualche rattoppo tardivo per mancata programmazione, denari risucchiati a comparti ben più seri, ipotizzabile quello dei lavori pubblici, nobili destinazioni che possono prendere altre strade più facili dove si raccoglie consenso. Venti milioni di euro: una cifra che merita attenzione. Ma l’opposizione ha avuto di fronte per nove ore la ripetitività vuota degli apparati che blindavano Piccitto ed è stata costretta a registrare e fissare quella prepotenza facendo bene a chiamare le forze dell’ordine. La Polizia ha raccolto le denunce dei consiglieri di opposizione che saranno trasmesse alla Procura. E’ giusto che si vada avanti, è giusto che il comportamento del segretario generale Dottore Vito Scalogna venga esaminato. E’ giusto stabilire i confini del lecito e del legittimo. Si deve sapere se c’è stato abuso di potere, omissioni di atti d’ufficio, negligenza. La via giudiziaria verrà intrapresa, l’opposizione non potrà più fermarsi, dovrà dare corpo a questa neonata dignità politica. L’arroganza dei grillini – forti di maggioranza e fascisti di sostanza – ha portato al miracolo: una opposizione generosa, e non per capacità spettacolare o eleganza retorica (a nessuno importa – con questa crisi che sta uccidendo la città che ogni giorno vede decine di disoccupati aggiungersi alla schiera dei cittadini perduti nell’incertezza- l’esercizio di stile) che ha sfondato il muro di rigidità offerto dai cinquestelle penetrando in uno spazio che supera la contingenza vividissima delle carte negate e che ci proietta in una dimensione di preoccupata riflessione sul mondo cinquestelle purtroppo assolutamente aderente negli usi e costumi a quel che volevamo spazzar via. La richiesta ossessiva degli atti è il tentativo strenuo di riportare il governo Piccitto ad una possibilità di ricostruzione democratica degli assetti che sostengono la città attraverso una condivisione basata sui principi comuni. Non basta a una città senza speranza – reggono solo gli statali e i professionisti – l’ordinaria amministrazione e la stentata manutenzione. Dall’ultima provincia d’Italia infettata dalla speculazione edilizia, dal clientelismo, dall’illusione dell’effervescenza imprenditoriale, serviva una idea più complessa, articolata e visionaria del futuro. Siamo finiti con la tassazione comunale alle stelle, gli assessori che non lasciano il posto da consiglieri, i malumori inghiottiti per le promesse di candidature palermitane e romane, il vomito incessante di pensierini minimi su facebook, ed ora persino il bilancio comunale fatto in casa senza sguardi indiscreti. Le variazioni di bilancio sono state votate come voleva Piccitto, a scatola chiusa, senza confronto, senza dialogo, senza sforzo morale e intellettivo, senza gusto, senza profondità, senz’anima. Non si è avuto il piacere – dalle 16 del pomeriggio del 30 dicembre alle 6 del mattino del 31- di sentire la voce dei grillini. E chi non ha parola, non ha pensiero. Che fine ha fatto allora la dissidenza interna, quella che da un anno chiede la testa di Stefano Martorana? Sussurra tra i corridoi, non riesce a tenere il culo in aula, non si espone, non si spinge, mormora, si inzitellisce nel bisbiglio viperigno infruttuoso e antipolitico da comari in giacca e cravatta. Che brutta fine per Stevanato e Agosta che di nascosto brigano e a chiamata rispondono! E’ stata una grande vittoria per le opposizioni questa sconfitta. Si sono battuti come leoni – Iacono, Ialacqua, Migliore, Tumino, Massari e gli altri consiglieri di seconda fila, tutti eroici in questa giornata difficile. L’opposizione è sempre innocente e il potere è sempre arrogante. E’ una delle poche certezze del nostro vissuto democratico. Rafforzare quello stato di debolezza e denunciare la violenza del potere è un esercizio salubre. Lo hanno fatto con orgoglio e tenacia. Riguardo gli uomini, Tringali dopo questa esperienza da novello tenentino di campo non riuscirà di certo a guardare dritto negli occhi il consiglio nella sua interezza: non rappresenta più tutti gli eletti e le parti della città, non va oltre il suo ombelico. E Piccitto? Che vittoria è la sua? Ha sempre ragione, nei fatti, nel ritenere i suoi un’accozzaglia di imbecilli, ma ormai sfrutta la cosa e ne trae giovamento. Ieri sera in una battuta con un giornalista che gli rimproverava di non aver voluto far crescere il movimento e e di non avere educato i consiglieri ha esclamato con il vigore del quarantenne pieno di sbrigativa energia: -“Provaci tu, se ci riesci! Provaci! ”- Non c’è alcun turbamento di coscienza, ha preso atto del materiale umano a disposizione ed ha scelto di guardare avanti, oltre come dicono loro. Manterrà il suo posto nel cuore di Grillo. E’ in cima alla lista mentre gli altri amministratori del movimento vanno scacando. Si prospetta fulgida carriera. E a noi? Dal sogno al reparto Celere.