Sono 22 gli alberi eliminati in viale Napoleone Colajanni. Avevano rotto i marciapiedi, fatto saltare in aria le mattonelle, intralciato il passo agli uomini, e ora sono stati messi a posto: marchiati, recintati, estratti, “trasferiti” o forse eliminati per sempre. Kaput. Erano, insieme ai loro compagni di strada, gli alberi più belli di Ragusa. Chi non ha conosciuto il loro profumo dolcissimo, misterioso, latteo, che nella tarda primavera riempie il corpo dei ragusani non può capire l’offesa e la violenza di questa operazione di pulizia. Il profumo dei tigli, un grande classico nel rapporto amoroso uomo-natura che ha ispirato poeti, pensatori, educatori di fanciulli… tranne uno. Corallo Salvatore, comisano, titolare del Caffè borghese e purtroppo assessore al verde pubblico di Ragusa per conto di casa Grillo. Il soggetto è recidivo; prima dello sterminio di viale Colajanni ci sono stati meravigliosi pini, maestose palme, innocenti arbusti, l’horror vacui della vallata santa domenica che pare spelata con la crema Veet. L’intero mondo arboreo del capoluogo ha conosciuto il suo colpo d’ascia e le distese di ciclamini che invece apprezza. Stavolta come aggravante c’è la bugia. In un comunicato ufficiale diramato dal Comune si è dichiarato che l’opera pubblica di allargamento e sistemazione del marciapiede prevedeva il sacrificio di soli 10 alberi destinati alla ripiantumazione in un giardinetto scolastico. E poi? Zac- zac, fuori 22. La denuncia sull’accaduto deve però superare il romanticismo e l’ambientalismo per avviarsi ad una riflessione. Da una parte abbiamo Di Maio che descrive una Ragusa all’avanguardia riguardo ai trasporti, e, dall’altra, Corallo e Piccitto che non riescono ad aggiungere alcun elemento di innovazione serio e sostanzioso nel momento in cui devono mettere mano ad una viale cittadino dove, fra l’altro, sempre basandosi sulla giusta propaganda, passerà la metropolitana di superficie. Si poteva riorganizzare l’intera area. Lasciare gli alberi, raddoppiare il marciapiede, installare qualche panchina, affiancare una pista ciclabile, illuminare il viale, creare un percorso pedonale – stiamo parlando di poco più di un chilometro – per trasformare il nesso di relazione tra il centro della città e le due strutture sportive, una storica, il campo di calcio, e l’altra in via di recupero, la pista di pattinaggio, arrivando in modo armonico sino al centro commerciale oltre la ferrovia. Si chiama ricucitura urbanistica. Certo, c’è il problema dei parcheggi auto, ma nella rieducazione in vista della rivoluzione qualche sforzo progettuale di rivisitazione della circolazione o di individuazione di aree all’aperto per parcheggi si potrebbe fare. E invece siamo sempre inchiodati sugli stessi valori, abitudini, tradizioni, usi e costumi della piccola cara Ragusa. Corallo cura gli alberi e l’urbanistica con la stessa cifra identificativa: il contentino, il ritocchino, lo sguardo distratto di chi non vuol sapere. Zero consumo del suolo, petrolio zero, creatività dei trasporti, tutto viaggia sul binario virtuale dei social che i cinquestelle approvano senza sforzo di mutamento effettivo della realtà che rimane invariata e non subisce impegnativi e dolorosi scossoni epocali. Ci chiediamo: quante nuove villette e palazzine sono state autorizzate nella non urbanistica di Corallo? Vorremmo solo che l’assessore ci desse i numeri. Così, semplice-semplice, concreto, come lui si vanta di essere, come lui si propone nel vecchio ambiente degli affaristi palazzinari. Cinque, dieci, trenta, cinquanta casette? Quante sono le concessioni a favore dei soliti costruttori? Numeri irrilevanti, come negli alberi? Numeri tranquilizzanti che non incidono? Non si capisce mai, con questi grillini, dove finisce l’idiozia e dove inizia la presa in giro. Suggeriamo a Corallo di recuperare dimestichezza con l’aritmetica. Il mestiere lo aiuta. Nel tempo libero che gli resta – è sempre terribilmente impegnato in pranzi, cene, visite, week end con Luigi Di Maio e Giancarlo Cancelleri che gli assicurano un futuro di prestigiosa collaborazione nell’Italia che verrà – smetta di sognare i vertici e torni al suo baretto e si metta alla cassa: un caffè, un vassoio di biscottini al burro, un cannolo, due pizzette, una confezione di fiocchi di neve da spedire a Roma a Luigino, e il conto torna: alla fine gli alberi atterrati son sempre 22. Amministratori che ci conducono verso la civiltà o forse borghesi piccoli piccoli, disperati nelle loro ambizioni trattenute. Fanno bene gli alberi di via Colajanni a schizzare via dalle regole, a scassare tutto, a esplodere da sotto, a riprendersi la città. Ah, il loro profumo, imitazione della gioia! quella che la politica non ci concede mai.
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