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24/08/2012 -

Politica/

Considerazioni sul ferragosto

Riceviamo e pubblichiamo un commento del dott. Pippo Mustile sul Ferragosto 2012. Ho letto qualche giorno fa quanto scritto a proposito della giornata di ferragosto da personalità provinciali e comunali che si sono chiesti, così come tanti altri adulti che non hanno ancora smesso di meravigliarsi, cosa è accaduto in quelle 36 ore di “libertà” o forse ancora meglio di completa anarchia. Sostengo da tanti anni che i segnali di un debordamento dai canoni del civile comportamento sono stati acuti e sonori e soltanto chi non ha orecchie per sentire o per “ascoltare” ed occhi per vedere quello che sta succedendo può ritenersi oggi scandalizzato dai comportamenti messi in atto da giovani e meno giovani. E’ vero che sono state 36 ore di follia collettiva, di ricerca di un senso in una condizione disperante di non senso, ma è anche vero che sotto accusa non deve essere messo chi, a mio avviso, è solo vittima, agnello sacrificale sull’altare di interessi generali che alligna su un pensiero di arretramento culturale che è imperante in questi tempi. Dio è morto cantava Guccini; ed invece credo che il sacro non sia morto ma si sia trasformato in una dimensione non più intima e privata da custodire gelosamente, ma in una superesposizione mediatica che spinge “tutti”, e soprattutto i più fragili e vulnerabili, a pensare che esisto solo se combino qualcosa di eclatante e di disperante, che la generosa lotta quotidiana per vivere nel modo che mi è stato dato in quel momento, non è più accettabile. Questa illusione iperdemocratica è l’anticamera di una perdita storica di libertà che mai si era presentata neanche nei peggiori regimi totalitari, che almeno ti spingevano alla lotta ed alla resistenza. Oggi siamo impantanati in una melliflua ricerca di un accomodamento, di una precarietà che ci spinge a perdere la speranza che un giorno possa cambiare in meglio la mia situazione e quindi a vivere in un eterno e dissacrante quotidiano. E’il potere della scienza e della tecnologia a decidere che cosa è vita umana (Agamben) e cosa non lo è; contro questo straripante potere bisogna pensare ad una politica delle forme di vita, cioè di una vita che non sia mai separabile dalla sua forma, dalla sua storia, dal suo passato che rivive in essa incessantemente. Se non si vuole essere “vuoti a perdere”, come diceva qualcuno, è importante rifiutare questo smarrimento e ricongiungersi con la propria storia. I custodi di questo passaggio sono gli adulti che purtroppo oggi sono in gravissima difficoltà e sembra abbiamo abdicato ad un ruolo che solo qualche decennio addietro è stato evolutivo per centinaia di migliaia di giovani che hanno trovato la loro strada e la loro autonomia prendendo le distanze da questo inquietante non sense, accompagnati da adulti di riferimento significativi. Quindi non sono i giovani a doversi chiedere che cosa è successo a ferragosto, che cosa non ha funzionato, ma gli adulti, i dirigenti che hanno smesso di essere tali già da qualche tempo. Pippo Mustile

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