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18/02/2013 -

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IL CUORE DI PRODI E LA BILE DI GIANNI BATTAGLIA

ragusa ibla bnLo sanno gli Stati Uniti d’America, lo sa l’Europa, lo sanno gli intellettuali, lo sanno gli investitori che serve il centrosinistra per provare a salvare il Paese, e l’unità e la generosità sono qualità politiche e morali che fanno la differenza in una partita in cui si giocherà il destino di tutti noi. E’ l’abc della militanza farsi vedere ed essere uniti, e non per virtù da moglie di Cesare da sfoggiare, ma per quella completezza sentimentale (una miscela di responsabilità, bontà, apertura mentale) necessaria nei momenti drammatici a rassicurare l’elettorato. Tutta la campagna elettorale del Pd, con Bersani, è stata improntata a questo respiro lungo – il riconoscimento dell’apporto e della simpatia di Renzi è stato l’inizio – e appunto ieri con l’intervento di Romano Prodi al comizio di Milano, il valore della comunione fra le anime del centrosinistra ha dato il senso dell’emergenza da affrontare serrando le fila, e la piazza ha capito quel gesto largo e nobile. Romano Prodi è un uomo che tradimenti ed ingiustizie ne ha subìtì eccome, sicuramente più del senatore Gianni Battaglia che dopo decenni di lustro è entrato in un naturale cono d’ombra dove lui non si rassegna a stare e dove si dimena per uscire ossessionato dagli splendori del passato che, fra l’altro, ricordiamo, non sono esauriti se si considerano il titolo e la pensione che lo Stato riserva e concede. Non ha sopportato, il senatore Battaglia, il mancato piazzamento in posizione utile in lista e non ha sopportato ancor di più che alle primarie gli elettori ragusani del suo partito abbiano preferito Venerina Padua a lui. Una sconfitta bruciante che ha attestato un cambiamento di genere – e non solo per il femminile che si impone – e che certifica la caduta dentro il Pd di un pezzo da novanta come Battaglia. Ci aveva sperato, il senatore, tanto che si era rivolto al segretario Peppe Calabrese invitandolo ad una nuova alleanza tirando fuori commozione e pathos e dichiarando che era infeconda e stupida una lacerazione e che i voti dei ragusani dovevano convergere verso l’unico uomo in grado di sostenere il peso dell’amata toga senatoriale. Non sappiamo se Calabrese abbia sentito il richiamo del sangue (c’è una cuginanza acquisita fra i due) e poco ci importa; sappiamo solo che gli iscritti non l’hanno votato ed hanno preferito Venerina Padua. Da lì la sacca biliare di Gianni Battaglia è divenuta incontenibile, lo pervade, lo impregna, lo comanda. Quando c’è stato il capolista Corradino Mineo non ha voluto dire due parole, salutare con affetto il nuovo, garantire vicinanza e patrimonio conoscitivo. Niente, la bile invasiva era penetrata persino alla voce eleganza e buon gusto. Poi è scattata la fase due: tremenda vendetta, dare il colpo a Calabrese, muoia Sansone e tutti i filistei, non riconoscere più il segretario, riunire quel che resta del suo gruppetto e impiastricciare un altro circolo. Oggi, la moglie, dottoressa Gianna Miceli, che negli anni dei fasti era chiamata dentro l’azienda sanitaria in cui svolgeva mansioni considerevoli, la zarina, ha inviato alle redazioni due note: l’annuncio della nascita di un secondo circolo futuro (al di là delle faide speriamo che il Pd ottenga tanto di quel successo da aprire sezioni ad ogni angolo di via), ed un papello sulle condizioni miserevoli in cui è ridotta Ragusa che spingono ad un Pd “con forma organizzativa diversa ed autonoma”. I documenti non sono firmati, c’è solo la mail di provenienza, quella della signora consorte del senatore non si sa se in veste di attivista, estensore delle note o semplice moglie sbrigafaccende, poi l’anonimato più assoluto. Chi c’è dietro il documento? Abbiamo chiamato l’onorevole Giorgio Chessari per chiedere cosa ne pensasse ed è apparso costernato e frastornato dicendosi ben consapevole del danno e del possibile disorientamento che si possono creare nell’elettorato in questi giorni cruciali se si offre l’immagine di un Pd spaccato. Qualcosa di divertente però c’è; finalmente dopo sei anni il senatore Battaglia e forse anche la sua signora si sono accorti che la città è allo sfascio. Per sei anni il senatore tutto preso dall’Università non si era accorto delle cricche, del disastro urbanistico e ambientale, del degrado morale, del nero principato di Nello Dipasquale, il Formigoni del Sud, della Ragusa morta. Viveva nell’eremitaggio, tutto casa e consorzio, e il rimpianto del privilegio non gli faceva percepire la dura realtà. Il travaso di bile gli ha spalancato gli occhi: ha visto il Pd, la città, la colpa, e ora vuole farsi antipapa di Calabrese. Parte avvantaggiato Gianni Battaglia, non è come Benedetto XVI, non deve dimettersi da nulla: è già fuori, dal tempo.

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