Vi ricordate il divertentissimo romanzo di Camilleri “Il birraio di Preston” con tutto il paese mobilitato per l’inaugurazione del teatro, e la prima che finisce con cariche di cavalleria, svenimento della soprano, incendio dell’immobile e pure due amanti avvolti dalle fiamme? Ritrae una piccola comunità isolata, scatenata e divisa nel giudizio e nell’attesa di un evento, un’opera lirica, ostinatamente chiusa dentro un conflitto partigiano che finisce in fumo. A Ragusa per il Concordia i profondi conoscitori di storia patria hanno invaso il campo, contagiato le masse al grido “teatro-teatro”, issato barricate d’onore e di memoria contro i grillini poco convinti della validità dell’investimento. Persino il partito democratico ha deciso di buttarsi, seppur timidamente, da quella parte proConcordia non per autentico convincimento (solo le guerre interne lo animano) ma per rigustare la gioia del respiro seppur da sotto le ampie gonne della signora Rosanna Bocchieri, musa della tragedia e promotrice della cordata di intellettuali che chiedono al sindaco, con una petizione popolare, di rifare tale e quale il teatro com’era. Ci troviamo di fronte ad una triplice negazione della realtà. Del Concordia non esiste più niente e l’unica forma d’arte che i luoghi ci restituiscono sono gli ansimi dei nostri vivacissimi vecchietti, ora defunti, che si godevano il cinema porno del Marino. I teatri contemporanei dove si fa la musica e la prosa (basti pensare all’auditorium di Roma che tutti conosciamo) sono strutture non solo tecnologicamente avanzatissime, con acustiche mirabili, ma grandi spazi. Terza realtà negata i ragionevolissimi dubbi dell’amministrazione Piccitto secondo cui spendere milioni di euro per un contenitore che non accoglierebbe né le grandi compagnie né orchestra alcuna è questione da affrontare con cautela. Ci ritroviamo un rudere con una bella facciata e l’interno da demolire per poi costruire uno spazio costosissimo e sacrificato per altezza, per profondità, per sicurezza, dove una compagnia come si deve non potrebbe esibirsi. E’ vero che una città è tale se ha un teatro, epperò non tutte le città vantano un Regio, un Carignano, un Petruzzelli, una Fenice, una Scala, un San Carlo, e la Ragusa dell’ottocento non era Torino, né Bari, né Venezia, né Milano, né Napoli. Lo sviluppo urbanistico e socio economico di Ragusa ha in verità concepito un teatro, anzi due: il 2000 e La Licata; questi sono i teatri da aprire. L’acquisto del Concordia è stato solo un azzardo dell’ex sindaco Dipasquale che nell’atmosfera megalomane della Ragusa grande di nuovo non ha esitato a sborsare un milione e mezzo di euro al proprietario del Marino, Carlo Grana, che poi con una rivisitazione del prezzo ne ha ottenuti molti di più. La tesi “Ormai l’abbiamo spesi” sembra fare il paio con la distrazione ed il disinteresse, al limite della tolleranza, per i vizi e le abitudini spendaccione delle amministrazioni centrali e locali. Forse non è un caso che i partiti e le personalità di spicco che si stanno dando un gran da fare in questa battaglia pro Concordia non sentano l’esigenza e la voglia di commentare gli accadimenti della Regione dove i nostri deputati, tutti, usavano il danaro a piacimento per cene, coppe d’argento, borse, e cristallerie. “Ormai i soldi si sono spesi!”- è questa una ragione per spenderne altri dissennatamente? La domanda è una sola: perché la cultura ufficiale del piccolo paese, e persino i partiti, non hanno la sensibilità civica e morale che invece l’amministrazione Piccitto sta dimostrando nel porsi degli interrogativi sull’efficacia e sull’efficienza di un progetto? Il sindaco e l’assessore all’urbanistica incredibilmente stanno trovando enormi resistenze nel fare capire le loro perplessità, e ad ogni loro saggia parola sull’argomento viene risposto con appassionato cinismo: “Ci sono i soldi, spendiamioli!”. Dovremmo essere contenti di questi giovani che ci governano e che intendono riportare la misura negli affari pubblici ed invece non vogliamo neanche sentirli e ci trinceriamo, con supponenza e alterigia, nel passato glorioso del nostro teatro – tanto paga Pantalone. I grillini ce l’hanno le idee chiare: salvare la facciata dell’immobile di via Ecce Homo, mantenerla si vedrà come e incastonarla in un progetto diverso e con una funzione più appropriata e moderna, il tutto con una cifra minore. La sfida vera non è la gara per spendere i finanziamenti, bensì riuscire a concludere una intesa con Grana per ottenere la fruizione continuata dei suoi due teatri; questo sì che per quantità ridarebbe vita a Ragusa superiore! Lì deve orientarsi l’amministrazione comunale, confrontarsi con l’esistente e modificarlo a favore del bene comune. L’euforia degli anni 80, 90 e del primo decennio 2000 ci ha indebolito nella lunga durata. Se i soldi ci sono spendiamoli bene; di farse, Ragusa, ne ha avute sin troppe, e il dramma è stato accettare uno spettacolo indecente senza battere ciglio.