Nove mesi a cinque stelle, con quel ragazzo che sa di biondo e che indossa un maglione azzurro da combattimento su pantaloni color vaniglia. Non sa di sindaco nemmeno in giacca e cravatta, nemmeno quando c’è la banda, l’Arma, o i bambini con le maestre, o quando c’è il ricevimento di qualche eccellenza. Sa solo di ostinata e difficile gioventù, e come Charlie Brown non si piega all’idea della sconfitta. L’unico diversivo che si è preso in tanti mesi è stata una fuga serale ad Acireale per andare a sentire con la fidanzata, che ci teneva assai, (molto meglio una Sonia Migliore inviperita che ‘na zita ca fungia) Claudio Baglioni in concerto. Grillino romantico. Etichettare i cinque stelle ed anche il loro lavoro qui a Ragusa non è semplice. Tenaci, onestissimi, lenti, alcuni saggi, tutta roba di qualità che apparentemente cozza con il loro settarismo, con il loro estremismo. A cosa serve l’estremismo di posizioni e giudizi in una città ridotta all’osso come Ragusa? Dopo trent’anni di affannoso fare che ci ha condotti all’euforia di classe, ed ora al disastro, esistono ricette e modelli che riportino vitalità? Quanto è distante un Federico Piccitto che manda sms ricolmi di speranza e saluti finali all’americana – si accomiata con take care, il nostro sindaco – da un Renzi che non a caso manda fuori di testa i coetanei movimentisti pentastellati? Sono entrambi l’unica possibilità di vedere la vita con quella forza positiva propria della gioventù, sia essa terribilmente ambiziosa e spregiudicata, stile presidente del consiglio, oppure avvolta dal puritanesimo, come nel nostro sindaco. Non sono poi così lontani questi due esempi di governo, in loro c’è l’unica cosa che conta davvero: l’innocenza. E’ un’arma tagliente e veloce, l’innocenza, che serve a tirar dritto con linearità e semplicità. Quando qualche giorno fa si è provato a far scoppiare uno scandalo sul concorso per dirigente dell’area urbanistica vinto da un giovane architetto, Marcello Dimartino, scelto dal sindaco nonostante l’altro concorrente in lizza fosse l’ingegnere Franco Poidomani, abbiamo capito in un lampo come la vicenda, la lettera anonima che la Marino sventola, il grondare di esperienze e titoli di Poidomani, fosse risolvibile puntando all’unica traccia dirimente: l’innocenza. Oh sì, Franco Poidomani è bravo, anzi bravissimo; è stato bravo con Antoci, con Chessari, con Arezzo, con Solarino, con Dipasquale: troppo bravo, ma d’una bravura che guardandoci intorno ci ha fatto tanto male, e i grillini, che sono innocenti, il glorioso passato lo inseriscono alla voce colpevole, ed hanno ragione. Possiamo dirci soddisfatti dopo nove mesi di governo? Senz’altro si, procedono lentamente ma risolvono con giudizio, e tutti coloro che si imbattono nel primo cittadino rimangono non impressionati alla Merkel, ma commossi: dentro questo Charlie Brown c’è il tipo di figlio che tutti i genitori sognano. E’ irritante, è vero, la chiusura del movimento che sembra ricordare il fanatismo di Servire il popolo, l’analisi spietata e beffarda di Lotta Continua, e la loro presenza così carnale e torva in consiglio comunale, con tutte quelle amazzoni di Grillo che volgono sguardi ottusi nel domandarsi a cosa serva quella vecchia istituzione, quel confronto di parata, quel codice comportamentale, quando con un bel vaffa e 18 voti tutto si chiuderebbe in un minuto, ci rende stizziti e insofferenti. Forse Piccitto ci soffre un po’ di questa goffaggine dei suoi. Sono innocenti, ma non perfetti, e una rivisitazione assessoriale serve: dalla cultura ai servizi sociali si registrano atteggiamenti troppo impacciati, e il sindaco ha nel meetup un ostacolo nell’aprirsi ulteriormente alla città. Il partito unico al potere è un gran guaio: trapela poco del dibattito intenso e valido che pur si svolge al suo interno, ci si sente bastevoli, non si colgono le opportunità dello scambio, si riesce persino a far emergere Maurizio Tumino come un gigante della legalità e Sonia Migliore come principessa della democrazia. Ci è andata di lusso a noi ragusani con questi grillini, siamo in piena “slow governance”. Sono rigidi, ma contemporanei. Avete visto di recente Orazio Ragusa? Sembra Antonio Razzi. E Dipasquale che si è autoconfinato a Palermo (quando ci sta) cosa ci dovrebbe raccontare, del miracolo che lo ha fatto deputato o del massacro del territorio che ha compiuto e che ci ha tolto la dignità di cittadini? Non siamo più cittadini, non siamo più una città per colpa di quello sviluppo urbanistico demenziale fatto dai bravissimi costruttori e dai bravissimi tecnici a loro compari. E non essere cittadini ci rende ancora più deboli, più paurosi: non abbiamo neanche la folla della città, il rumore dei nostri simili, il chiasso delle strade. No, non è un caso che nonostante la tragedia della crisi le comunità italiane che mantengono decoro e forza siano quelle urbanisticamente felici, compatte, con struttura medioevale. Quelli “bravi” ci hanno presi e dilaniati allungandoci come ombre inquiete sino a spazi inverosimili, fuori da noi stessi, e non avendo il corpo l’anima si perde. Take care, saluta il ragazzo sindaco, scrive che vuole guardarsi negli occhi con i suoi compagni di città, e sorridere e dibattere animatamente. Insomma, vogliono vivere questi nostri grillini. Che Dio li ascolti. Take care, stammi bene Ragusa!