Un naufragio nel corso del quale l’equipaggio era morto annegato: era la storia, falsa, che l’organizzazione di trafficanti di esseri umani che opera in Libia aveva imposto di raccontare in Italia ai 294 migranti che sono stati, poi, soccorsi dal pattugliatore della Marina Militare tedesca “Hessen” e che sono sbarcati venerdì a Pozzallo. Subito dopo il recupero degli extracomunitari nel Canale di Sicilia era stato lanciato l’allarme di un naufragio con 50 morti. Appresa la notizia, la Capitaneria di Porto di Pozzallo ha avviato le ricerche del luogo esatto dell’ipotizzato naufragio. Gli 85 presunti superstiti avevano raccontato come, durante la traversata, un’onda li aveva travolti e che una cinquantina erano caduti in mare affogando. Il racconto appariva subito inverosimile stante i numeri che per l’esperienza degli investigatori non quadravano. Solitamente, infatti, su un gommone vengono stipati dai 90 ai 110 migranti e per i loro racconti, sommando i superstiti con i presunti naufragati, si arrivava a 135, di fatto impossibile. Nonostante il racconto inverosimile, venivano ascoltati una decina di migranti ed ognuno di loro, nel descrivere i fatti del presunto naufragio, forniva una versione diversa. Messi alle strette dai poliziotti, i migranti, avevano inizio le prime ammissioni: “Abbiamo inventato tutto, c’era stato detto di dire così perché non avreste arrestato gli scafisti, nessuno di noi è caduto in acqua, siamo tutti sani e salvi grazie al vostro aiuto, scusateci”. I migranti, dopo essere stati scoperti, hanno collaborato in modo ancora più fattivo, tanto che, in poche ore, sono stati raccolti gravi indizi di reato a carico di 3 cittadini eritrei. I loro ruoli sono differenti, difatti oltre allo scafista vero e proprio, la Polizia ha individuato anche due eritrei che in Libia, dopo avere preso accordi con gli organizzatori del luogo, si occupavano della vigilanza dei loro connazionali prima della partenza.