La notizia più inquietante: mercoledì sera nell’autobus che da Ragusa porta a Roma è successo il finimondo perché una signora di mezza età si rifiutava di viaggiare accanto ad uno straniero. Sono intervenuti i carabinieri e si sono accumulate due ore di ritardo, con sollevazione collettiva per il disservizio e moto di sdegno da parte della componente italico-democratica del bus, il 50 per cento dei presenti, vergognata per la connazionale razzista. E’ un episodio che spiega cosa servirebbe agli abitanti del territorio: tenere ben fissi nel cervello i princìpi supremi dello Stato repubblicano. Qualche giorno addietro Ermanno Olmi in un bellissimo dialogo a Che tempo che fa (visibile su you tube) ha iniziato dicendo “come va?”. Sappiamo che non va bene anche qui, giù da noi. La donna del bus con la sua ignoranza e cattiveria ce lo conferma, e allora ci si chiede cosa possa fare una città per ritrovare la serenità che sostituisca gli eccessi di benessere che non sosteniamo più. Non c’è risposta e non c’è soluzione se non si riparte dai princìpi di uguaglianza e di libertà; poi, forse, pian piano, ci ritroveremo. Se si riparte da qui si nota che lo scollamento con chi ci governa è enorme, – loro non sono indignati – ed anzi continuano ad inventarsi scuse per respingere la realtà. Solo un equilibrio fra i sentimenti della popolazione e quelli della classe dirigente può far rinascere la nostra comunità. Al momento siamo amministrati da un sindaco che non soffre la nostra crisi e che nutre l’intima persuasione della imbattibilità, del successo, del dominio. Il dramma di Ragusa è evidente, siamo spaesati e non abbiamo la forza di recuperare la povertà che ci ha reso buoni lavoratori, e non sappiamo neanche avvalerci della modernità perché questa è basata sul sapere, e noi, invece, per proteggere il nostro sistema siamo costretti a respingere la conoscenza. Tutto è precipitato in pochi mesi, l’impalcatura residuale è marcia. Nello Dipasquale, però, resiste. Fa pena più che rabbia. Il suo conformismo è inadeguato persino per la borghesia conservatrice che si sentiva garantita nei privilegi e negli affari, e tutti i ragusani ormai soffrono questo personaggio (al di là dei sondaggi telefonici a cui ogni ragusano doc risponderebbe con la connaturata prudenza contadina) che si ostina a maneggiare la cosa pubblica con grande spavalderia e metodi da antica civilità politica. La prima uscita di Territorio ha certificato questa stanca angoscia. Sperava in un botto con duemila persone e ne ha racimolato 500, moltissime delle quali precettate fra lavoratori di cooperative sociali, disoccupati in attesa di posto, gente ossequiosa o obbligata verso il potere. Significativo lo sforzo di un consigliere che aspira al rimpasto che si è “impegnato” per portare 50 cittadini: scambio tra adesione e compartecipazione. Ed ora che fa il nostro primo cittadino con Territorio oltre a tenerlo in piedi come luogo di decantazione? Uno spazio ambiguo, incerto e ammiccante che forse è maturato prima delle elezioni e che ci riporta ai patimenti costrittivi di Riccardo Minardo. Appena il deputato regionale è stato arrestato, a Dipasquale è spuntata l’idea di questa nuova formazione trasversale che lo affrancasse da tutto e da tutti. Un luogo da cui studiare l’exit strategy più confacente al sogno di divenire deputato. E noi, i sudditi indignati e silenziosi che possiamo fare in questo caos, oltre ad aspettare? La tristezza ci soffoca, serve un po’ d’aria. Solo dopo le 22, ce lo intima Nello Dipasquale. Dopo le 22 per posare in strada l’immondizia. Qualche ora di libertà al buio, magari sfiniti dal lavoro, mezzi addormentati e già impigiamati, con i bambini soli in casa. Possiamo scendere in strada dopo le 22, e trascinarci dietro i nostri resti come i mendicanti che la notte trasferiscono da un angolo all’altro le loro misere cose. L’ultima opera di Nello Dipasquale: Notturno con secchio, sonata per i ragusani.