La Polizia ha arrestato un tunisino di 28 anni residente a Gela, ma domiciliato presso una delle numerose aziende agricole di Vittoria per il reato di atti persecutori ai danni di una giovane rumena. La Squadra Mobile pochi giorni fa aveva ricevuto informazioni dettagliate dal personale di un’associazione che si occupa della tutela dei braccianti presso le serre. La notizia riguardava l’allontanamento di una donna rumena della quale un cittadino tunisino dichiarava fosse scomparsa probabilmente perché rapita dal suo datore di lavoro. Le indagini, considerata la gravità di quanto raccontato, iniziavano immediatamente con intercettazioni telefoniche di tutti i soggetti coinvolti ed appostamenti presso le serre. I poliziotti si sono finti braccianti agricoli per poter carpire qualche notizia in più durante le fasi di raccolto delle melanzane. Le notizie apprese erano molto utili per conoscere le dinamiche che si evolvono all’interno delle serre e per individuare il luogo dove la donna si era rifugiata. Dopo pochi giorni di attività la Polizia ha ritrovato la donna sana e salva ma molto impaurita. Tra le intercettazioni di diversi soggetti e della stessa vittima è stato possibile appurare quanto effettivamente accaduto alla donna da quando è in Italia. La sua storia in Italia inizia un anno e mezzo fa quando viene invitata da una connazionale a trasferirsi a Vittoria per lavorare nelle serre. Fin qui tutto normale, in pratica lo stesso copione si ripete per tutti i braccianti agricoli provenienti dalla Romania e non solo. La donna accettava di buon grado, anche se quando arrivata presso la serra indicata dalla sua amica si rendeva subito conto che le condizioni di vita sarebbero state pessime. 25 euro al giorno per 10 ore di lavoro, costretta a vivere all’interno di baracche in legno costruite sempre dentro le serre, in quanto un affitto per una casa era troppo caro. Dalla serra non si esce mai, non ci sono mezzi e possibilità per raggiungere il centro abitato, si permane sempre all’interno di quel perimetro fatto di teli di plastica e recinzioni per delimitare le proprietà. Quando si vuole andare in centro si deve cercare un passaggio ed è proprio nel momento del bisogno che le donne vengono sottoposte a ricatto. La donna viene subito fatta oggetto di “attenzioni” di datori di lavoro e caporali. Alcune donne cedono ai ricatti morali e si prostituiscono per avere più denaro, altre vengono solo sfruttate professionalmente perché sottopagate ed altre per avere un trattamento “migliore”, si concedono ai titolari di aziende avendo così diritto ad una casa fatiscente, ma pur sempre una casa. La vittima per sottrarsi ai datori di lavoro si confidava con un suo “pari”, un bracciante agricolo come lei, un cittadino tunisino. L’uomo inizialmente la proteggeva con affetto poi inizia a chiederle delle prestazioni sessuali sempre respinte. Un anno fa il tunisino si ubriacava e minacciandola con una finta pistola la costringeva a subire un rapporto sessuale. La donna continuava a lavorare nella stessa serra a 25 euro al giorno e non trovava via d’uscita, si sentiva schiacciata tra i datori di lavoro ed il tunisino che in teoria la doveva proteggere ma l’aveva violentata. All’ennesima richiesta di un rapporto sessuale, pochi giorni fa, la donna fuggiva trovando riparo da un connazionale con il quale nel contempo aveva iniziato un rapporto di amicizia sincero. Il tunisino credendo che fosse stato il datore di lavoro a riprendersi la donna, contatta l’associazione di volontariato. L’uomo aveva inventato la storia del rapimento per poter rientrare in “possesso” della vittima. La Procura della Repubblica ha richiesto la custodia cautelare in carcere per il tunisino responsabile del reato.La donna oggi si trova in una località protetta, continua a lavorare presso le serre e così come da lei riferito ha ritrovato la serenità.
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