Gli ha messo paura Federico Piccitto al sovrintendente Rizzuto. E’ bastata una letterina che minacciava le “dovute conseguenze” – qualora i lavori in piazza Libertà fossero stati bloccati – ed è scoppiata la pace e tornata l’armonia. Il sindaco di Ragusa non era in grado di sostenere alcuna guerra con la soprintendenza, non vantando credito e passione tra le forze civiche e le varie sigle associazionistiche tanto da mettere in piedi la difesa ad oltranza della rotatoria, e Calogero Rizzuto – che poteva benissimo ritirare in autotutela l’atto con cui aveva approvato i lavori e disporre il vincolo su tutta la piazza – ha preferito tuttavia battere in ritirata. Sarà rassicurante sapere che le istituzioni marciano insieme per il bene comune; non bisogna comunque rintuzzare l’ipotesi malevola che il soprintendente abbia deciso di contare fino a 1000 prima di dichiarare guerra a un grillino appartenente alla stirpe di rango che appare vincente alle prossime elezioni Siciliane. Per una rotatoria (chissà perché sta prevalendo la dicitura francesina di rondò forse più leziosa ed innocua) vale la pena inimicarsi un sindaco del movimento che potrebbe prendere in mano l’isola? Insomma, lo sguardo lunghissimo di Rizzuto ha messo in secondo piano l’alleanza con Nello Dipasquale, che avrebbe gradito eccome un colpetto ben assestato ai cinquestelle, mentre per noi semplici cittadini si è rinnovata la certezza, grazie a questo screzio tra detentori del potere, che in Sicilia i rapporti di forza passano da piani di comunicazione complessi dove ha un peso il metalinguaggio: ci sono i fantasmi passati, presenti e futuri, e contano tutti. Non più il carrubo nella piazza, ma un gruppo marmoreo con al centro Giancarlo Cancelleri, faro di Libertà, a fianco il primo cittadino che gli porge lo scettro del comando, e in basso, proni, Corallo e Rizzuto schiacciati come serpi. Se il freno azionato da Rizzuto deve essere letto come una comprensibile prudenza tipica del servitore dello Stato conoscitore dell’andirvieni di signori, per Corallo la storia è diversa. Dopo poche settimane dall’annuncio della quasi certa chiamata diretta alla corte di Cancelleri nel prossimo governo siciliano, il fascino di questo bellimbusto che nell’immaginario cinquestelle era visto come un esempio di concretezza operativa e di garbo decisionista si è schiantato sul rondò e ci è voluto Piccitto per disincastrarlo dalla piazza e rimetterlo in piedi, anche se umiliato per benino. Tra il sindaco e l’assessore i rapporti sono da quasi due anni alla frutta e questo relazione logorata è molto interessante da analizzare perché racconta l’avventura del governo cinquestelle ed i limiti politici dell’intero movimento e dei suoi protagonisti. Quando Piccitto fu eletto, i ragazzi, eccitati e confusi dalla vittoria, videro in Salvatore Corallo – più anziano di loro e assai capace nelle relazioni umane – la figura perfetta del coordinatore, del confortatore, del genitore saggio. Il pasticciere abbandona il bar di Comiso – di cui era titolare sino a qualche tempo addietro – si sistema a palazzo in una stanza centrale vicino agli appartamenti reali e senza chiedere un soldo e senza incarico ufficiale e formale, dirige, controlla, suggerisce, stimola, riferisce, nell’entusiasmo generale per questa collaborazione indispensabile e generosa. Passano i mesi, si incontrano le prime difficoltà, e Corallo centra i punti deboli. Sotto la sua guida iniziano le epurazioni degli assessori sgraditi – Conti, Brafa, Di Martino – e così si arriva al naturale ingresso in giunta con il super assessorato lavori pubblici, impianti, urbanistica. Giunto finalmente all’apice intuisce e poi verifica che il suo carisma ha un limite invalicabile: il duo salesiano Piccitto -Martorana che inizia a sprosciuttarsi gli occhietti fanciullini e a vederlo con occhio nitido; non più l’idolo e il maestro di vita ma un uomo scaltro intriso assai di virtù materiali e smodata ambizione. Scatta il muro contenitivo e protettivo. Corallo non è più secondo comandante in campo. E’ costretto a indietreggiare e cambia tattica trasformandosi in oppositore interno alimentando il malumore dei consiglieri. E’ la fine del movimento: iniziano le cordate, le malignità, le incomprensioni, le tensioni che hanno come obiettivo centrale la cacciata di Stefano Martorana. Corallo si espone in questa battaglia senza rischiare, mantenendo sempre un margine colloquiale esile, ma bastevole con il sindaco tanto da non essere travolto dall’etichetta del traditore, e riesce a rimanere in sella mandando allo sbaraglio i consiglieri che si spingono sino a rivolgersi a Di Maio e Cancelleri per ottenere la testa dell’assessore al bilancio. Nel frattempo, sempre Corallo, inizia un corteggiamento spietato nei confronti dei due dirigenti del movimento accreditandosi come residuale riferimento di un movimento ragusano andato in pezzi, dove si staglia come portatore unico della immutata idealità grillina e osservatore maturo e affidabile. Di Maio e Cancelleri rimangono abbagliati – da quelle parti le fulminazioni avvengono frequentemente. Riguardo la battaglia interna sappiamo bene com’è finita. Piccitto vince su tutta la linea, annienta il consiglio con tre cucchiaiate di lenticchie nelle rispettive bocche di Tringali, Leggio e Disca, spegne i furori movimentisti, comprende che i cinquestelle sono un grande bluff ondivago, e continua ad amministrare indisturbato mantenendo con grande capacità la forma della solidità apparente. Corallo incassa la sconfitta, stempera il disagio, con il cavolo che si dimette, e sceglie di permanere mollemente in giunta sognando ossessivamente Palermo. E’ una storia di ordinaria ruffianeria, quella di questi mesi; nessuno degli attori crede più nella rivoluzione e tutti pregano affinchè lo strazio di stare al governo finisca. Corallo ora è persino costretto dagli eventi a ringraziare il sindaco per l’intervento maschio su Rizzuto, e il sindaco, trionfante, con una pacca sulle spalle avrà incoraggiato il languido pasticciere a procedere alacremente con questa gran rottura della rotonda in piazza. Le cose della vita… e pensare che Corallo nel suo continuo lamento contro Piccitto lo chiama, da tempo, anche con la stampa, il ducetto! Azzeccatissimo per la piazza Impero. Altro che ducetto, un po’ di riconoscenza, Le ha salvato il culo! Cosa manca a questi cinquestelle? Viviamo uno scontro tragico tra ideali e realtà da cui i cinquestelle non riescono ad uscire (basta vedere il bagno prolungato di vecchia realtà sul tema urbanistica con il cemento a gogò) e non capiscono, questi amministratori, di rappresentare un evento più simbolico che politico. Ed i simboli, però, pur essendo la loro unica straordinaria forza, vengono quotidianamente annientati, dimenticati, calpestati, e si affoga nell’attesa della salvezza. Non hanno elaborato uno straccio di dimensione politica alternativa che si poteva e doveva costruire portando in superficie le più banali delle qualità umane, un simbolo di rinascenza, ad esempio la bontà coniugata all’azione. Che tristezza. Hanno gioventù, vigore, fortuna, gli manca però la bontà, sono spietati, non è un caso se il welfare si stia riducendo di giorno in giorno nella nostra Ragusa; se non condividi percorsi e opinioni col prossimo, la bontà è superflua, non serve. Ci vuole l’amore in politica. Non sappiamo che musica piaccia a ‘sti grillini, rimaniamo per un momento in piazza Libertà e ricordiamo la meravigliosa canzone del 1942, quando era iniziato il declino del fascismo, una canzone che cantavano le nostre madri – “Ma l’amore no, l’amore mio non può, disperdersi nel vento con le rose… io lo veglierò, io lo difenderò da tutte quelle insidie velenose…” – Quante insidie, quante serpi. Federico, “statte accuortu! “
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