Non si è visto il sangue, ma braccia, mani, mascelle, spalle in assetto da boxe senz’altro sì, con doveroso e conseguente contatto fisico. Si menano al Pd, perché qui in periferia l’hashtag “stai sereno” del grande Matteo non si traduce in coltellate alla schiena per conquistare il posto di comando bensì nella preistorica sintesi “ci fuorru lignati” e nien’altro va aggiunto: vale un’atmosfera, uno stato d’animo con un po’ di corporeità. Perché se le danno nel Pd? Non sono appagati della sconfinata vittoria del loro partito? Litigano ancora per gli organismi, la presidenza, le interminabili votazioni interne, gli elenchi degli iscritti alle varie correnti, ostinandosi a rimanere quel vecchio partito mezzo democristiano e mezzo comunista, che il Fiorentino si è fatto fuori in pochi mesi. La scazzottata light dell’altra sera non è tensione tra le parti, i soliti vittoriesi e comisani contro il nostro Peppe Calabrese, è solo un disagio intimo per il nuovo partito che impaurisce e spiazza. Di renziano o renzista in Sicilia non c’è nulla, basti pensare a Genovese, Crisafulli, Cracolici, Lumia, Crocetta, vari boss dentro un partito disfatto come il resto dell’isola, con guerre tra bande per il mantenimento di privilegi e posizioni, un nonspazio estraneo alla realtà contemporanea dove ora i capibastone devono capire come muoversi e cosa dire. A Ragusa il Pd è morto nonostante il 40 per cento ottenuto, e le botte che si son date la prima volta che si son rivisti tutti assieme per festeggiare il successo delle urne, sono state uno sfogo naturale e inevitabile. La vittoria è bella, ma non è dei dirigenti ragusani, non rassicura le loro aspirazioni personali, non riappacifica con la loro visione del potere e anzi riacutizza maggiormente la crisi di identità per la loro funzione perduta ( le masse – abbiamo visto in questa elezione- non hanno più bisogno di intermediari e militanti che le convincano e le convergano al voto, è bastato un uomo solo per arrivare al trionfo ). In questa chiave l’intervento di D’Alema che va in televisione per ricordare a Renzi l’esistenza del glorioso partito non va letto solo come un messaggio ruffiano in vista di una collocazione europea, ma è la rivendicazione di un ruolo storico che purtroppo – al di là delle degenerazioni- non ha più valenza, né riconoscimento. Tornando a Ragusa. Calabrese sta antipatico a molti perché ha più voti degli altri, e però misconoscere da oltre un anno questo minimo di valore aggiunto è insostenibile in un partito che conserva forme distributive equilibrate. I comisani si confermano dei maghi del ritocchino (l’altra sera sarebbe bastato aggiungere qualche nominativo negli elenchi dei votanti per la presidenza e così modificare il quorum). I fratelli Nicosia brillano per contraddizione passando da Megafono (a loro si deve l’elevazione di Nello Dipasquale a deputato) ad Articolo 4, (hanno fatto votare l’indipendente Michela Giuffrida), girando tra i satelliti del Pd e nel frattempo piazzando come segretario un loro uomo – Giovanni Denaro – che invece non ha brillato affatto e di cui non si conosce l’appartenenza: è renziano, è cuperliano, è semplicemente “vitturisi” della band Nicosia brothers? E Gianni Battaglia? Come un budda, aspetta. Ha lievi oscillazioni quando sogna cosa fare da adulto, deputato o sindaco di Ragusa? Qualcuno gli dica – a meno che sia predestinato ad una patetica botta di culo alla De Mita, sindaco a 86 anni- che dovrebbe accontentarsi dello stordimento che suscita nel giovane sindaco Piccitto che lo tiene ancora al Consorzio, ma che per il resto dovrebbe autocatalogarsi fra coloro che hanno già dato o meglio molto ricevuto e abbandonarsi ad una sana e saggia anzianità. Sempre a proposito di Battaglia e per continuare sul filo della instabilità e sofferenza vissute dal pd ragusano, sembra che il senatore pur di non vedere Calabrese presidente vorrebbe promuovere la compagna di circolo Angela Barone. C’è un piccolo particolare non trascurabile. La signora avvocatessa non sopporta Renzi, persino a nominarlo le si accappona la pelle: insomma un disprezzo dichiarato e, almeno sino a qualche settimana fa, ostentato. Con questi sentimenti come farebbe la presidentessa del partito del fenomeno? Almeno Calabrese si è convertito a Renzi qualche settimana prima delle primarie. Certo, con il vento in poppa il mondo è buono, il cielo è sempre azzurro, la speranza e l’ottimismo accolgono i nostri passi, e persino “i lignati” dell’altra sera sono il solito fango da respingere. Giovanni Denaro non vale niente come segretario di partito, ma per girare la frittata è bravo: può aprirsi uno stand nella sua Fiera Emaia. Ha scritto con tono altisonante: “è irrispettoso oltre che obiettivamente falso, parlare di scontro fisico”. No, la bancarella con panini e frittata è poco per un tipo così sincero. Ci vuole qualcosa in più; potrebbe mettersi a cantare “Oh dolci baci, oh languide carezze” coprendo il sonoro di quando, nel grande partito, se le danno.